Archivio mostre

Maillet illustra Kafka
30 agosto – 15 settembre 2024

Nel centenario della morte di Franz Kafka il Museo d’arte Mendrisio presenta una mostra dedicata alle opere realizzate da Leo Maillet per illustrare una serie di racconti brevi del grande scrittore boemo. L’allestimento riunisce una ventina di incisioni, tra acqueforti, xilografie a colori, bulini e puntesecche, che testimoniano una particolare assonanza con l’opera kafkiana.
Quando Maillet entra casualmente in contatto con la prosa di Kafka nel 1944 (a Basilea, in un centro di raccolta di materiali usati, mentre è alla ricerca di lastre di rame per le sue incisioni), vede schiudersi un mondo insieme enigmatico e familiare, tanto che da allora i testi di Kafka ispirano la sua produzione per oltre trent’anni. Una continuità che non è semplice fascinazione, ma piuttosto una sorta di sodalizio fondato su un’analoga visione critica, e paradossale, della società e della creazione artistica.
L’esposizione accompagna la pubblicazione della raccolta di prose di Franz Kafka Un incrocio. Racconti scelti e illustrati da Leo Maillet, realizzata dalle Edizioni Casagrande in collaborazione con il Museo d’arte Mendrisio in occasione dell’anniversario kafkiano.

ENRICO CASTELLANI
24 marzo – 7 luglio 2024

Enrico Castellani (1930-2017), uno tra i massimi esponenti della scena artistica del secondo Novecento, ha lavorato tutta la vita alla propria idea di rappresentazione dello spazio sulla tela, raggiungendo risultati tali da divenire una delle figure di riferimento dell’arte a livello internazionale. Ad oggi, però, nessun museo svizzero gli aveva mai dedicato una personale: questa al Museo d’arte Mendrisio non è soltanto la sua prima esposizione in territorio elvetico ma costituisce anche la prima retrospettiva dopo la morte dell’artista. L’intento di questa esposizione è quello di offrire una visione complessiva della straordinaria carriera di Castellani, dalla fine degli anni Quaranta al primo decennio del XXI secolo. In un andamento prettamente cronologico, che consente di cogliere le diverse fasi del suo percorso di ricerca, le sale si caratterizzano per nuclei di opere accomunate da analoghe peculiarità seppur nell’estrema varietà degli esiti.
Spazio, tempo, variazione, ripetizione: in un’infinita scala di combinazioni le superfici monocrome di Castellani cancellano l’idea classica della rappresentazione per aprire nuovi canali percettivi: il suo alfabeto visivo parla la lingua della luce, le sue superfici, come lui stesso scrisse nel 1961, «non facendo più parte del dominio della pittura o della scultura, e potendo assumere dell’architettura il carattere di monumentalità o potendo ridimensionarne lo spazio, sono il riflesso di quello spazio interiore totale, privo di contraddizioni, cui tendiamo. E pertanto esistono, in quanto oggetti di istantanea assimilazione, la durata di un atto di comunicazione; prima che il tempo le confini nella loro materiale precarietà».

Superficie bianca, 1973, Acrilico su tela, Collezione privata, © Enrico Castellani Estate. 2024, ProLitteris, Zurigo

ROGER DE LA FRESNAYE
Il nobile cubista
22 ottobre 2023 – 4 febbraio 2024

Il Museo d’arte Mendrisio dedica una grande mostra a Roger de La Fresnaye(1885-1925) figura di spicco del cubismo e straordinario interprete del suo tempo. Con i suoi lavori partecipò alle mostre che segnarono la storia dell’arte moderna e le sue opere più importanti fanno parte delle collezioni dei maggiori musei francesi e americani, tra cui il MoMA e il Metropolitan di New York. La retrospettiva (a cura di Barbara Paltenghi Malacrida, con la collaborazione di Francesca Bernasconi), la prima assoluta in Svizzera e la prima in ambito culturale italiano, si propone quindi di riscoprire un’importante figura dell’arte di inizio Novecento, ingiustamente caduta nell’oblio, attraverso un percorso espositivo che abbraccia l’intera carriera dell’artista: dagli esordi di derivazione simbolista e nabis alla straordinaria produzione cubista; dalla drammatica esperienza della Grande Guerra al neoclassicismo tipico del ritorno all’ordine degli anni Venti. Le 106 opere in mostra (provenienti dai più prestigiosi musei francesi e svizzeri e da importanti collezioni private) permetteranno di esplorare le numerose sfaccettature che hanno contraddistinto la breve ma folgorante carriera di un artista che seppe profilarsi con eleganza e ricercatezza tra i grandi esponenti della scena francese dei primi decenni del XX secolo.

Roger de La Fresnaye, Le Prestidigitateur, 1921-1922, Centre Pompidou, Parigi, MNAM-CCI, Legs de Mme Stéphanie Brillouin, 1966. Photo, Cosimo Filippini 2023

CESARE LUCCHINI
La terra trema
26 marzo – 25 giugno 2023

Il Museo d’arte Mendrisio inaugura la stagione espositiva 2023 con una grande antologica dedicata al pittore ticinese Cesare Lucchini (1941). Nato a Bellinzona e tra gli artisti più importanti della sua generazione, Lucchini conclude la formazione nel 1965 all’Accademia di Belle arti di Brera a Milano, dove vive e lavora per i successivi vent’anni. Alla fine degli anni Ottanta, desideroso di entrare in contatto con la scena artistica e culturale tedesca, si trasferisce in Germania dove tiene a lungo un atelier a Düsseldorf e a Colonia. Oggi vive a lavora a Lugano.
La mostra intende ripercorrere – per la prima volta a Mendrisio – i principali capitoli della straordinaria carriera di Lucchini, dagli esiti espressionisti degli anni Sessanta e Settanta all’influenza della Pop Art per arrivare al confronto con i Neue Wilden tedeschi. Particolare rilievo però è attribuito alla produzione più recente che rivela, con incredibile lucidità e altrettanto profonda poesia, un gesto sintetico nel tratteggiare la drammaticità del nostro mondo contemporaneo, da sempre inesauribile fonte iconografica da cui attingere.

LA COLLEZIONE 1982- 2022
23 ottobre 2022 – 29 gennaio 2023

Inaugurato l’11 settembre 1982, il Museo d’arte Mendrisio compie 40 anni. Il primo nucleo, fondamentale spinta alla nascita di un museo cittadino, era costituito dalla collezione dei fratelli Aldo e Aldina Grigioni, uno straordinario insieme di oltre 150 opere, selezionate ad offrire una panoramica di rilievo soprattutto dell’arte ticinese e lombarda tra fine Ottocento e inizio Novecento.
Da allora il Museo d’arte Mendrisio di strada ne ha fatta tanta: a quella prima donazione se ne sono aggiunte molte altre nel tempo che hanno notevolmente arricchito il patrimonio dell’Istituto (che conta, oggi, all’incirca 5200 opere); parallelamente lo straordinario “contenitore” architettonico (il complesso di San Giovanni) ha subito una serie di restauri e ampliamenti tali da trasformarlo in una realtà museale ed espositiva di rilievo nel panorama cantonale e nazionale. Per festeggiare questa importante ricorrenza, la mostra autunnale non poteva che prevedere, in un allestimento creato per l’occasione e che coinvolge tutto lo spazio espositivo, i principali capolavori della collezione: 200 opere di 148 artisti, distribuite secondo un andamento cronologico e suddivise in sale tematiche, così da fornire non solo una panoramica esauriente di quanto custodito nei depositi ma, soprattutto, un affresco importante sulle evoluzioni del gusto, degli stili e delle iconografie.

Davide Cascio
Chaosmos
22 maggio – 4 settembre 2022

Chaosmos consiste di 3 interventi site-specific negli spazi del Museo d’arte Mendrisio: un mobile nel grande salone al I piano (Spider Bee) e alcuni interventi anche sulle pareti (Dangling painting relifs), di una schermatura dei due archi verso il primo corridoio (Out) e di un’installazione nella I sala (Riverrun). Inoltre, verranno presentati anche alcuni lavori (tra cui una serie di collages) a ripercorrere le più recenti fasi della sua produzione oltre a una sezione biografica. Davide Cascio è un artista ticinese la cui ricerca parte generalmente da un’attenta analisi delle fonti del passato per sviluppare progetti modernisti profondamente connessi al concetto di metamorfosi e conversione. Le sue installazioni, dalla matrice architettonica, operano come un percorso mentale che, seguendo le logiche dell’imprevedibilità, coltivano ideali utopici. Caratteristica principale dei suoi lavori è la meticolosità del progetto, l’attenzione metodica ai materiali, il rigore geometrico che si riallaccia tanto alle avanguardie costruttiviste e suprematiste di inizio Novecento quanto alla scuola del Bauhaus e all’architettura radicale.

Davide Cascio, Spider Bee, 2017, dettaglio

Gianfredo Camesi
Dallo spazio al tempo
22 maggio – 4 settembre 2022

Dallo spazio al Tempo è il titolo del progetto che l’artista valmaggese Gianfredo Camesi ha elaborato per gli spazi del Museo d’arte Mendrisio. Un progetto che ripercorre in sintesi la storia artistica di Camesi, dalle opere della prima maturità, come Point vital o la Flèche, a opere del 2016-17 rimaste ancora inedite, come tutta la serie – sedici lavori in totale – dei Retables (Trittici d’altare). Questa mostra, che conta quasi 80 opere suddivise per la maggior parte in serie (Espaces Mesure du TempsVacuitésChemin du corpsForme de lumièrePortraits/Autoportrait) rappresenta una summa del suo lavoro artistico. Fluidità e circolarità sono le caratteristiche del percorso passando da una sala all’altra all’interno del museo; ma non solo, creando un passaggio effettivo dall’esterno (chiostro) al punto d’inizio all’interno (Point vital collocato in un angolo del corridoio). Il catalogo che accompagna la mostra (testi: Simone Soldini, Walter Tschopp, Emanuela Burgazzoli, Linda Broggini) intende documentare non le singole opere o serie ma il progetto in un percorso fotografico (foto: Stefano Spinelli).
Mostra e catalogo sono a cura di Gianfredo Camesi e Simone Soldini.

A. R. Penck
24 ottobre 2021 – 13 febbraio 2022

A. R. Penck (1939-2017) è certamente tra i più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento, colui che, insieme ad altri suoi amici e compagni (Baselitz, Lüpertz, Polke, Richter, Immendorf e Kiefer) ha saputo esprimere le contraddizioni della Germania post-nazista e del conflitto Est-Ovest mediante un linguaggio originalissimo seppur concepito nelle forme espressive tradizionali, come pittura, disegno e scultura.
La retrospettiva di Mendrisio, comprensiva di oltre 40 dipinti di grande formato, 20 sculture in bronzo, cartone e feltro, oltre una settantina di opere su carta, libri d’artista e quaderni, intende ripercorrere le principali tappe di uno degli esponenti più significativi dell’arte internazionale degli anni Settanta e Ottanta.

A.R. Penck, How it works, 1989, © 2021, ProLitteris, Zurich
A. R. Penck, How it works, 1989, © 2021, ProLitteris, Zurich

Aoi Huber Kono
Acqueforti Acrilici Arazzi
29 luglio – 5 settembre 2021

Aoi Huber Kono, una pittrice che da molto tempo è amica del nostro Museo d’arte. La sua amicizia e i suoi antichi legami con il nostro istituto ci onorano. È con grande piacere che il Museo d’arte Mendrisio le rende un omaggio per i suoi 85 anni. Nata a Tokyo nel 1936, figlia di un celebre grafico, l’artista giapponese si è legata a un’altra figura famosa della grafica internazionale, Max Huber, col quale il Museo d’arte di Mendrisio a partire dalla sua nascita ha collaborato per un lungo periodo (suo il logo del nostro Museo).

Sergio Emery – Opere 1983-2003
24 aprile – 4 luglio 2021

Sergio Emery (Chiasso, 1928 – Gentilino, 2003) è stato tra i maggiori protagonisti dell’arte in Ticino nella seconda metà dello scorso secolo. Il suo percorso è singolare, non lineare come nel caso della maggior parte degli artisti della sua generazione. Dopo un esordio sulla scia del ‘900 (Carrà, Sironi, Morandi), si orienta verso il neopicassismo che ha modo di saggiare a Parigi nel’49 da Edouard Pignon. Questa prima stagione si conclude con il brusco abbandono della pittura e l’inizio di un periodo di 10 anni nel design moderno. Il suo percorso riprende verso la metà degli anni ’60 prima in direzione informale, poi in un’arte più concettuale e d’impronta ambientalista.

Ma la grande svolta pittorica avviene nei primi anni ’80 con il ciclo delle bambole. È da qui che parte la retrospettiva di Mendrisio, sviluppandosi sull’arco di un ventennio. La stagione finale si snoda in una concatenazione di temi, tutti incentrati sulla natura, che vista a posteriori dà l’idea di un lavoro in progress di grande compattezza. Dominanti di una pittura tra gestuale e parvenze di figurativo: il segno, il ritmo, l’invenzione compositiva, l’inserto di materiali di scarto. Capitolo a sé, ultimo straordinario ciclo, Nel settembre del ’43, nel quale Emery recupera grazie a un sogno, dando briglia sciolta alla fantasia, un fatto accadutogli negli anni della guerra.

Miki Tallone – [ēx]
24 aprile – 4 luglio 2021

Miki Tallone (1968) è un’artista ticinese la cui ricerca si basa sull’esplorazione dello spazio e del tempo – anche alla luce di studi personali in ambito performativo – e sulla raccolta di memorie private e collettive dei luoghi dove è ospite. Particolarmente importante all’interno del suo approccio concettuale è il confronto, sia architettonico sia ambientale, con i territori in cui opera e la concezione antropocentrica degli spazi: le sue installazioni, come lei stessa ha affermato sono «costruite attorno all’uomo, ma anche come emanazione dell’uomo». L’ampiezza dei riferimenti di Miki Tallone è composita, la sua abilità di interagire con l’ambiente ne fa una restauratrice al contrario: anziché ripristinare lo stato originario da esso evolve, integrandolo in una nuova visione nella quale il pubblico è chiamato ad interagire.

Così è anche in [ēx] , la mostra allestita al Museo d’arte Mendrisio, per la quale Tallone ha concepito 3 opere site-specific (nello splendido chiostro ad arcate e nel grande salone al primo piano) che ne rivelano l’attitudine alla ricodificazione dei contesti.

Nei due progetti esterni (Arundo 1 e 2, e Fluo) Tallone si inserisce nel luogo storico non attraverso una sua manipolazione ma secondo un processo di assimilazione che integra lo spazio elevandolo oltre i confini architettonici; nell’installazione interna (Demo) il visitatore è sottoposto a una serie di silenziosi meccanismi di socialità attraverso la rappresentazione di un rituale (il banchetto) senza commensali, la cui gestualità statica e simbolica è cristallizzata nell’utilizzo della stoffa e di immagini complementari a parete.

André Derain
Sperimentatore controcorrente
27 settembre 2020 – 31 gennaio 2021

André Derain è una delle grandi figure della rivoluzione artistica dell’inizio del XX secolo, sia pittorica sia scultorea, un’icona dell’arte del Novecento, amico di Picasso, Matisse, Braque, Giacometti. Derain ha formato con Henri Matisse e Pablo Picasso la triade di artisti che ha completamente cambiato a livello mondiale l’arte del Novecento. Derain è stato a capo e ispiratore di molte delle maggiori correnti della pittura moderna e contemporanea. È stato l’erede dell’Impressionismo, l’iniziatore della pittura Fauve e uno dei padri del Cubismo, nonché il precursore del Ritorno al Classicismo. Nei primissimi anni del Novecento, una manciata di artisti cambiò completamente il modo di vedere l’arte. Tra i massimi innovatori ci furono Derain e Matisse, che trascorsero vari anni a dipingere insieme i paesaggi di mare a Collioure, nel Sud della Francia. I due diedero vita tra il 1905 e il 1910 a un movimento per il quale si coniò il termine Fauve, cioè il gruppo dei “Selvaggi”, a causa dei vivacissimi, infuocati colori che caratterizzavano le loro opere.
Anche Picasso nutrì grande ammirazione e stima per Derain, soprattutto all’inizio del secolo scorso. A partire dal 1910, per diversi anni, Derain e Picasso collaborarono tra di loro e si studiarono reciprocamente. Si frequentarono molto e la loro amicizia durò fino agli anni Trenta. Fu Derain a introdurre Picasso nel mondo dell’arte africana e con Derain Picasso fece i primi passi verso il Cubismo. Entrambi furono amanti della mondanità, uomini di grande successo, celebrità delle arti del XX secolo. Ma se la fortuna di Picasso crebbe per tutto il secolo, quella di Derain ebbe un brusco, momentaneo declino dopo la seconda guerra mondiale, complice il mondo delle gallerie d’arte e del mercato.
La mostra organizzata dal Museo d’arte Mendrisio, nell’ambito della sua attività espositiva dedicata ai grandi maestri moderni, intende esplorare tutti i principali aspetti della ricerca di Derain, e in particolare contribuire a rimettere a fuoco e rivalorizzare le peculiari qualità della sua complessa e articolata produzione fra le due guerre e fino alla sua morte.
Per ciò che concerne la pittura viene analizzata in particolare l’evoluzione e le sperimentazioni stilistiche e tematiche, oltre ai numerosi riferimenti impliciti o espliciti dei più diversi territori dell’arte di tutte le epoche. E questo nei vari generi: il paesaggio, la natura morta, il ritratto, il nudo femminile, le composizioni più articolate. Altrettanto significativa, anche se più ridotta è la produzione scultorea, che viene documentata con un gruppo molto interessante di lavori.

Da ieri a oggi.
Linee del contemporaneo in Ticino.
La Collezione
10 giugno – 9 agosto 2020

Attraverso un centinaio di opere della collezione la mostra intende creare un caleidoscopio di sperimentazioni con l’obiettivo di far dialogare le varie opere, ravvisandone affinità di linguaggio.

Il contemporaneo è qui inteso come un dialogare tra generazioni che coprono circa quarant’anni di storia, mutando di colpo da una memoria di atmosfere da ultimo naturalismo a un’immagine tecnologicamente ultraelaborata.

Il nocciolo della mostra sta quindi tutto nella storia del Museo d’arte Mendrisio che, dalle prime biennali dedicate a Paolo Bellini e ad Aldo Ferrario, arriva fino agli spazi dedicati ad Alan Bogana o a Marta Margnetti. Sono questi in mostra tutti artisti ben noti, che hanno stretto un legame con il nostro istituto e ai quali va il nostro ringraziamento.

Opere di:

Selim Abdullah, Sibilla Altepost, Paolo Bellini, Franco Beltrametti, Adriana Beretta, Livio Bernasconi, Anna Bianchi, Alan Bogana, Giuseppe Bolzani, Gianfredo Camesi, Rosanna Carloni, Daniela Carrara, Marisa Casellini, Edgardo Cattori, Massimo Cavalli, Milo Cleis, Andrea Crociani, Ilaria Cuccagna, Edmondo Dobrzanski, Tommaso Donati, Marcel Dupertuis, Matteo Emery, Sergio Emery, Renzo Ferrari, Aldo Ferrario, Luisa Figini, Samuele Gabai, Andrea Gabutti, Piero Gilardi, Silvano Gilardi, Elia Gobbi, Aglaia Haritz, Hermanus, Timothy Hofmann, Max Huber, Aoi Huber-Kono, Cesare Lucchini, Marta Margnetti, Simonetta Martini, Paolo Mazzuchelli (PAM), Eleonora Meier, Luca Mengoni, Gianni Metalli, Vincenzo Meyer, Gian Paolo Minelli, Flavio Paolucci, Gianni Paris, Gregorio Pedroli, Adriano Pitschen, Rolando Raggenbass, Tino Repetto, Mariangela Rossi, Alberto Salvioni, Ruggero Savinio, Paolo Selmoni, Fabrizio Soldini, Ivo Soldini, Bohdan Stehlik, Una Szeemann, Miki Tallone, Gianmarco Torriani, Francesco Vella, Petra Weiss, Gianmaria Zanda, Flavia Zanetti, Piera Zürcher

INDIA ANTICA
Capolavori dal collezionismo svizzero
27 ottobre 2019 – 26 gennaio 2020

Oggi possiamo ammirare solo delle parti del variegato e vasto mondo dell’antica arte indiana. Culla di tre religioni – buddismo, induismo e giainismo – ancora oggi in vigore, l’India ha un patrimonio culturale estremamente ricco, anche se si è preservato solo quello composto da materiali durevoli. Questo patrimonio racconta del rapporto dell’umanità con le forze ultraterrene che la governano e con l’universo in generale. Di conseguenza, l’India è ricca di divinità di vario genere che rappresentano queste forze e il loro travalicamento. Il significato di queste divinità è costantemente rielaborato, e anche qualora il suo nome non cambiasse, la divinità è tutt’altro che statica. Curata da Christian Luczanits, esperto di arte indiana alla London School of Oriental and African Studies, la mostra si concentra sulle trasformazioni che queste divinità subiscono dalle prime rappresentazioni figurative alle più tarde forme espressive esoteriche (tantriche). I cambiamenti di significato derivano solo in parte dai testi relativi alle divinità; tuttavia, le immagini parlano anche da sole e in relazione ad associazioni poetiche atemporali. Una yakṣī, una sorta di spirito naturale femminile responsabile della fertilità e del benessere, può chiacchierare con un pappagallo per evitare che riveli ciò che è successo la sera precedente. Al contrario, un Budda seduto e riccamente decorato allude a un risveglio che è stato reinterpretato dal punto di vista del buddismo esoterico.
Pur senza la pretesa  di essere rappresentativa della totalità dell’antica arte indiana, la mostra copre aree essenziali. Gli oggetti esposti riflettono l’interesse occidentale per l’arte indiana, dove predominano temi buddisti e pacifici. La selezione è stata operata sulla base dei criteri di qualità e disponibilità. La mostra è suddivisa in nove sezioni: Metafore poetiche; Animali leggendari; Tradizioni a confronto; Storie edificanti; Poteri femminili; Diramazioni esoteriche; Miracoli; Coppia divina; Divinità cosmica. Sono esposte sculture provenienti da varie regioni dell’India, Pakistan e Afghanistan. La datazione delle opere si estende su 14 secoli, dal II secolo a.C. al XII secolo d.C.

Piero Guccione 
La pittura come il mare
7 aprile – 30 giugno 2019

Non c’è mai stato un artista che sia riuscito a dare la dimensione della luce e della relazione tra l’azzurro, il mare e il cielo come Piero Guccione. Egli è stato tra i maggiori protagonisti della pittura italiana del secondo Novecento. Nato nel 1935 a Scicli, ultima propaggine meridionale della Sicilia, e recentemente scomparso, per oltre quaranta anni ogni mattina Guccione ha guardato il mare cercando di coglierne le variazioni, non per semplice descrittivismo, ma per trovarci sempre l’anima dell’uomo.
«Mi attira l’assoluta immobilità del mare, che però è costantemente in movimento.» È questa la grande impresa che quotidianamente ha affrontato: guardare il mare con il desiderio di fissare qualcosa in continuo movimento. Guccione ha portato la sua ricerca ai limiti dell’astrazione, restando tuttavia ben ancorato alla realtà. Persino nelle ultime opere dove la rarefazione è condotta all’estremo e il senso di vuoto diventa qualità principale, egli vuole e sa rimanere pittore di un’antica tradizione radicata nel dato realistico, figurativo. Nel dipingere il mare e il cielo, egli è stato attratto dalla forza e dal colore di quell’impercettibile linea che divide la parte superiore dei suoi dipinti, il cielo, dalla parte inferiore, il mare. È questa impercettibilità che ha sempre cercato di riportare sulla tela.